Il 28 giugno scorso è sbarcato al cinema il quinto capitolo di Indiana Jones. Saga già due volte destinata a concludersi, ma solo una volta per scelta, nel 1989 con il terzo capitolo (non a caso, L’ultima crociata), e due volte riesumata finora: nel 2008, con Il Regno del Teschio di Cristallo, quasi-scult di Steven Spielberg, e ora, altri 15 anni dopo, con Il Quadrante del destino, 100% made in Disney per la regia di James Mangold.
Nel frattempo, dal 30 giugno è disponibile su Netflix Nimona, science-fantasy d’animazione tratto dall’omonimo fumetto web del 2012 di ND Stevenson, edito su carta dal 2015 (in Italia con Bao Publishing).
Cos’hanno in comune, questi due film?
Apparentemente niente, se non che li ho visti entrambi a 24 ore di distanza l’uno dall’altro, e pensato di metterli a confronto, perché nessun altr* lo faceva.
In realtà, di cose in comune ne hanno un paio, e piuttosto importanti. Oltre al fatto che ND Stevenson, a quanto pare, si fa chiamare “Indy”. Scopriamo queste cose.
Innanzitutto, un paio di motivi per leggere quest’articolo, qui e ora:
Indiana Jones 5 è un appuntamento importante, e non il primo, tra l’Impero Disney e i grandi franchise del cinema che ha acquistato. Dalla trilogia sequel di Star Wars, o da Avatar la Via dell’Acqua, è cambiato qualcosa?
Nimona non aveva franchise ingombranti da svecchiare, ma “solo” il fumetto da cui nasce; tra cambiamenti significativi di trama e approfondimenti tematici, raggiunge un risultato non solo soddisfacente, anche perfettamente attuale
Centoundici anni, e non sei invecchiato di un giorno
Suonano più o meno così, le parole di Gandalf a Bilbo Baggins, in apertura del Signore degli Anelli (se seguite questa newsletter da un po’, avrete notato che viene citato spesso), ma hanno il tono preciso dell’inquietudine ancora inconsapevole. Qualcosa, che noi spettatori siamo già in grado di capire, sta per rivelarsi ai personaggi, qualcosa di terribile.
Era tanto che non ci sedevamo in sala per vedere un Indiana Jones. Preoccupata di ciò, Disney elargisce la somma necessaria a ringiovanire un ottantenne Dottor Jones al punto giusto, per regalarci una lunga sequenza d’azione iniziale; la scena è sapientemente inzuppata di penombra, per non esporre troppo alla luce del sole il vampirismo cibernetico applicato come un filtro Instagram al nostro Harrison Ford. Siamo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, c’è un giovane Indiana contro i nazisti, e lo incontriamo in medias res, alla ricerca della leggendaria Lancia di Longino. In teoria, è il “bentornato” perfetto per ognuno di noi.
Eppure, in questo film, qualcosa proprio non quadra (ehr). E non è un problema di età, reale o percepita. A metà di questa lunga, lunga sequenza sul treno, diventa noto che, più che la Lancia di Longino, al film interessa un’altra reliquia, il titolare “Quadrante del Destino”, che però è diviso a metà, e di cui solo una metà è sul treno. Come gatti con un gomitolo di lana, Indy e i cattivi iniziano a litigarsi il Quadrante, fino alla (tardiva) climax della sequenza, che comincia e finisce senza sorprese registiche.
La minaccia fantasma
Qualcosa scricchiola; non i cingolati del treno, non le giunture, vere o percepite, dei protagonisti. Le svolte narrative, sin da subito, puzzano di una di due cose: o sono “semi” di prossimi colpi di scena, piantati però senza alcun motivo radicato, solo in attesa di fiorire; o sono cicatrici evidenti di riscritture sopravvenute, resistite ai futuri colpi di spugna. Si dice che il film abbia tentato diversi finali, prima di cristallizzarsi sul definitivo; sono solo voci, ma a vedere questo film verrebbe da cercare, archeologicamente, la verità storica dietro la leggenda.
Ne risulta un film senza carisma e, peggio, senza cuore, in cui la scrittura, un po’ imitando il passato, un po’ “ristrutturandolo”, si incastra in garbugli imbarazzanti di ritmo e storia. Il marchio di fabbrica Disney, per cui tutto quello che una scena costruisce può facilmente essere disfatto dalla scena immediatamente successiva, pesa molto più degli anni sul personaggio principale e, altrettanto, sulla sua nuova, giovanissima comprimaria.
Avrebbe giovato a questo quinto capitolo riflettere sul significato di eredità, su ciò che può dare oggi l’Indiana Jones con cui siamo cresciuti e cosa potrebbe dare, d’ora in avanti, una nuova archeologa avventurosa come quella di Phoebe Waller-Bridge. Non sarebbe stato meglio che lei e Ford avessero interpretato, quantomeno in partenza, due personaggi agli antipodi, invece di sovrapporsi e litigarsi il ruolo di protagonista, tra bizzarre coincidenze e tre, quattro, cinquemila inseguimenti?
Ironico che sia il discorso ereditario sia la complice complementarietà dei co-protagonisti fossero tra i (non molti) punti di forza del quarto capitolo con Shia LaBeouf, il tanto criticato Regno del Teschio di Cristallo, che dal confronto col nuovo sequel esce inevitabilmente rivalutato. Confronto col passato che, tra l’altro, è temuto dallo stesso Quadrante del Destino, che spende forse la sua unica scena meditativa per specificare che Mutt, figlio di Indy nel Teschio, è morto in Vietnam.
“Lascia morire il passato. Uccidilo, se necessario.”
(Kylo Ren, Star Wars Episodio VIII: Gli Ultimi Jedi)
L’impero Disney colpisce ancora.
Nel frattempo, in una galassia rivale
Su Netflix debutta Nimona, che pure ha due co-protagonisti, una giovane e uno meno, la cui alchimia raggiunge però vette appena intraviste, forse, dai due del Quadrante. Nimona è tratto da un fumetto, nato come web-comic nell’ormai lontano 2012 e, sorpresa, ha un rapporto complesso con la sua fonte originale. Ma complesso, sorpresa davvero, non sempre vuol dire problematico.
Innanzitutto, Nimona si rifà il look per il (formato da) cinema. Il suo stile di animazione un po’ Borderlands un po’ Munchkin non è avanguardia pura e lisergica come Spider-Man: Across the Spider-Verse, ma fa il suo onesto lavoro. Poi, il film mette subito in chiaro qualche coordinata emotiva che non solo ha ragione di esistere nel momento in cui viene presentata, ma continuerà ad accompagnarci per tutta la durata del film, tra conferme e colpi di scena.
La trama, col senno di poi, non è l’incarnazione dell’imprevedibilità, eppure, rimuovendo dall’equazione lo sforzo di dover sorprendere a ogni angolo lo spettatore (un po’ come fanno da generazioni i giochi di The Legend of Zelda), riesce a riservargli comunque un paio di grosse sorprese e, soprattutto, un paio di grosse emozioni.
Il castello dei destini incrociati
I luoghi di contatto tra Indiana e Nimona non si limitano al loro, speculare, rapporto col passato, che il secondo coltiva e, pur cambiandone alcuni punti chiave, non ha bisogno di defenestrare.
Nimona doveva diventare un film da molto tempo, inizialmente con 20th Century Fox, da prima che Disney la comprasse. Poi: nel 2019 Disney compra 20th Century Fox; passano due anni e il progetto Nimona, arrivato al 75% del completamento, viene cancellato, insieme alla chiusura dello studio che se ne occupava, Blue Sky Studios. Fonti interne allo studio riportano di preoccupazioni di Disney nei confronti dei personaggi gay e tematiche queer di Nimona.
Se lingua inglese e spoiler non vi spaventano, vi consiglio (oltre al film, e al fumetto) questo articolo di Polygon, sullo sviluppo travagliato e la “rinascita” di Nimona, progetto riportato in vita da Netflix e Annapurna Pictures.
A Netflix non sarà parso vero, poter sottrarre a Disney una gemma come questa, giusto? In realtà, è più complicato di così. Indiana Jones 5, nel bene e nel male, ha catalizzato senza fatica l’attenzione cinematografica tutta, almeno fino all’arrivo dei prossimi Mission Impossible (12 luglio, ma è una parte uno), Barbie e Oppenheimer. Lo definirei “film da battere”, se qualcuno potesse batterlo.
Nimona, che sembra cavarsela bene nelle classifiche di Netflix, è comunque un progetto esterno alla sala, quindi con un budget e un bacino di risonanza limitati. Si potrebbe protestare che, in sala, un film come questo avrebbe fatto peggio; il che è possibile, ma non esiste contro-prova. Resta un ottimo esempio di come dovrebbe essere un film al cinema, lasciato fuori dal cinema, prima da chi non vi ha creduto abbastanza, e poi da chi vi ha creduto.
La realtà, un po’ triste, di oggi, è che nemmeno i bei film stanno tutti dalla “parte giusta”. Giusto a confronto con Disney, Netflix può fare la parte del buono.
Mi è piaciuto così tanto Nimona, sia tecnicamente che narrativamente, che spero NON ne facciano una serie