Turismo performativo e altri peccati capitali
La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altre foto
A chiusura di un’estate calda, caldissima, poi fredda, piovosa, mite, poi di nuovo caldissima, torna Severo ma Giusto. Settembre è cominciato, come l’anno scolastico, e restano un paio di giorni al cambio di stagione; tornare, dunque, era improrogabile.
Ma per parlare di cosa?
Di argomenti possibili ce ne sarebbero. Baldur’s Gate III, GDR capolavoro di Larian Studios, è ormai disponibile su PC e PS5, dov’è approdato il 6 settembre, in concomitanza con un altro GDR, la nuova odissea sci-fi di Bethesda in esclusiva Xbox e PC: Starfield. Il primo ha già conquistato voti da capogiro (è molto bello); il secondo, altrettanto ambizioso ma più meccanico e meno brillante, ha riscosso meno fortuna.
In sala, intanto, è arrivato Oppenheimer, che la stampa italiana e internazionale acclamavano da luglio. La cosa non ha mancato di generare grandi aspettative e, dal debutto, manciate di contro-pareri (non il mio: la stampa esagera, come di consueto, ma il film di Nolan è buono). “Nessun piano sopravvive al contatto col nemico”, e nessuna recensione resta incolume al contatto col grande pubblico.
In questa stagione densa di uscite e dibattiti, non c’era che da selezionare un candidato valido fra i tanti per l’attesissimo articolo di ritorno dalle vacanze. Motivo per cui, naturalmente, ho scelto di parlare di tutt’altro.
“Sei entrato in campo, testa di c—o!”
Di turismo avevamo appena accennato in un precedente articolo sui risvolti socio-politici — non è una battuta — di Fast X e famiglia e altri blockbuster del grande schermo. Perché parlare di turismo in una newsletter che si occupa principalmente di film, videogiochi e altri prodotti che la stampa recensisce?
Semplice. Perché il turismo è un prodotto.
Un prodotto con dietro un’industria fatta di successi nazionali e internazionali, casi studio, capolavori annunciati e sorprese inaspettate, cocenti delusioni e recensioni euforiche. E stavolta, per una volta, non parliamo della stampa di settore. Il turismo è “recensito” dai suoi stessi utenti, in un circolo virtuale di performance che i social, a dir molto poco, caldeggiano con decisione.
Ti svegli una mattina di maggio e fai la tua passeggiata di routine su Instagram. Fuori inizia a fare caldo e togliendo il copriletto pesante pensi che quest’anno vorresti tanto andare (esempio sci-fi) nell’Area X. Ti consulti con il tu* partner, o con il tuo gruppo di amic*, e la butti là, convinto della tua buona idea.
E magari è buona, ma di sicuro non è tua.
Esattamente come i distributori di film invitano giornalisti e influencer alle anteprime, e quelli di videogiochi inviano copie stampa ai siti di settore, entrambi elargendo gadget ove possibile, anche il settore del turismo abbassa i prezzi e lancia offerte vantaggiose per i primi turisti in anticipo sull’alta stagione.
Questo fa sì che, nell’enorme arena dei social, facciano la loro comparsa le prime “recensioni” entusiaste, tutt’al più che il viaggio è costato due lire. Quei primi post e quelle prime storie si trasformano in pubblicità a costo zero, sotto forma di ispirazione (e pressione) sociale per i turisti che seguiranno, a volte dopo pochi mesi, altre su onde lunghe che si infrangono nel corso degli anni.
Non vi è mai capitato di dire o sentire:
Mamma mia, quest’estate sono andati tutti in Area X!
Mica succede per caso.
Disturbo da stress + post traumatico
Mostrati i punti di contatto tra aziende turistiche e aziende dell’intrattenimento (e aziende in generale), non basta nemmeno evidenziare come tale meccanismo abbia i suoi punti sensibili — se così non fosse, Severo ma Giusto non avrebbe ragion d’essere.
Nel caso del turismo, infatti, abbiamo meno strumenti per, e meno interesse a, discernere l’autorevolezza di una fonte, la “qualità” di una recensione che sarà sempre positiva, a meno di casi eccezionali.
Con videogiochi, film o libri l’utente medio, quando si lancia in pareri e consigli, cerca di avvicinarsi alla figura nebulosa del critico, perché ne ha avuto esperienza, quindi si sofferma spesso su “qualche difetto nonostante il quale…” (sull’abuso delle concessive nella stampa di settore ci torneremo, prometto).
Nessuno, invece, oserebbe mai evidenziare i difetti di una vacanza sulla quale ha investito, per quanto possano offerte e coupon, cifre ingenti di tempo e denaro. Al contrario: deve (di)mostrare quanto sia stato bello esteticamente e arricchente nello spirito il suo soggiorno nell’Area X.
Tale è il fenomeno del turismo performativo.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima
Non è una storia nuova per nessuno: ci siamo avvicinati a Instagram perché prometteva di mostrarci come gli altri vedono il mondo, ce ne siamo innamorati perché ci lasciava mostrare al mondo come noi vediamo noi stessi.
E quello che, in altri settori culturali, è una performance occasionale — vado a vedere quel film, posto una storia col biglietto del cinema — nel turismo è obbligatorio e reiterato. Mentre i giornalisti (me compreso) si reinventano sui social spammando caroselli e citazioni dei propri articoli, gli altri costruiscono bacheche architettoniche coi mattoncini più esemplari del proprio stile di vita.
La vacanza in Area X, troppo astratta di per sé, si manifesta quindi in un arazzo di tasselli lucenti, quali per esempio:
le opere (meglio se quadri, ancora meglio se grossi) della Mostra X;
la serata di musica al Festival X;
il pellegrinaggio verso la meta spirituale della Religione X;
lo scorcio naturale incredibile, o l’incredibile sfoggio di lusso;
gli animali selvatici, “dolcissimi”;
le persone, evidentemente “più felici e spensierate” di noi.
Sono tutte forme di turismo che, nel vuoto imbarazzante di contestualizzazioni doverose, stimolano e perpetuano modelli emulatori low cost al tetro confine tra capitalismo e colonialismo.
L’eccezione del turismo
Non si sta esagerando? Finché si definisce il turismo “performativo”, e si parla male di Instagram, siamo tutti d’accordo (?); passi pure il capitalismo, ma addirittura tirare in ballo il colonialismo?
Questo è il cuore pulsante del discorso. Dopo i diversi risvegli della sensibilità moderna (risvegli, non ancora trionfi), latita ancora completamente uno relativo al turismo, che è una questione di economia e geografia, sì, ma anche di politica e sociologia. Un aspetto che, tuttavia, resta quasi del tutto impercettibile.
Non importa quali siano i valori difesi a casa: ecologia, anticapitalismo, anticonsumismo, animalismo, difesa dei diritti umani. Non sembra esserci molto spazio in valigia per loro, o, almeno, non ce n’è abbastanza per tutti.
Quant* turist* tornano a casa ogni anno col rullino pieno di sorrisi degli abitanti del villaggio sperduto dell’Area X, dove la prima risorsa di reddito è la pesca, o l’agricoltura? E che sorpresa, per noi maniaci del possesso, la loro “instancabile generosità”, non importa se/quanto dettata dal bisogno opprimente di una mancia.
E quant* tornano al proprio lavoro con la promessa di non dimenticare quella “vita lenta” dal profumo zen assaporata durante le ferie?
Eppure, la “vita lenta” dell’Area X è godibile solo per chi vi risiede temporaneamente, senza l’urgente necessità di guadagnare per sopravvivere, con alle spalle un reddito da occidentale a garantire il totale rispetto dei suoi diritti.
D’altronde, come fa l’Area X a offrire prezzi tanto vantaggiosi, a ospitare e soddisfare così tanti turisti insieme? Fa compromessi su chi turista non è, e quindi non deve essere soddisfatto per attirare capitali internazionali.
Pars destruens a parte
Alla fine di questo discorso, cosa rimane? Qual è la pars costruens ottenuta in cambio di queste nuove deprimenti consapevolezze?
Innanzitutto, occorre sempre ricordare, dopo aver predicato (fin troppo) bene, che a nessun*, singolarmente, si richiede di essere l’attivista perfett*: è il sacrosanto diritto a razzolare male.
Per il resto, già se scegliessimo la settimana di vacanza in Area X come zona d’ombra morale, dopo esserci post* il problema dell’aspra plutocrazia locale, e delle gravi violazioni di diritti umani sul posto, e dei recenti disastri naturali che hanno messo in crisi le fasce povere della popolazione, sarebbe un risultatone.
Ma così non diventa impossibile godersi una vacanza?
Buona fine dell’estate a tutt*.