Super Mario Bros. e l'inganno della trama semplice
Dall'ultimo film dell'idraulico baffuto al passepartout del "puro intrattenimento"
A quasi 30 anni dall’uscita del trash-cult che è diventato il film live-action di Super Mario (28 maggio 1993), lo scorso 5 aprile l’eroe italiano targato Nintendo è tornato nelle sale, stavolta come film d’animazione, di nuovo alla ricerca di uno slancio solido nel mondo del cinema. E il risultato, di critica e pubblico, sembra premiare questo secondo tentativo.
Ma ci sono dei ma, sia per quanto riguarda il film, sia per questioni metacritiche che il film evidenzia, che Severo ma Giusto è pronto a raccogliere. Come di consueto, prima di iniziare, un paio di motivi per leggere questo articolo, qui e ora:
Super Mario Bros., per quanto non sia eccessivamente lacunoso, è un altro esempio di brand amatissimo, perciò tendenzialmente giudicato generosamente. Non si vuole qui negare il valore di una recensione generosa - lo ricordiamo - bensì offrire una sua controparte alternativa, severa ma giusta;
per Super Mario Bros., come per tanti altri, vengono usati i paraventi della “trama semplice” e del film di “puro intrattenimento”, da cui sarebbe fuori luogo aspettarsi tanto dal punto di vista narrativo. Occorre però fare chiarezza su cosa significhino, in realtà, questi termini, e se bastino a evitare critiche al reparto scrittura.
Pronti? Let’sagooo! (Esatto: la severità non impedisce di prendere parte a certi topos letterari)
Le cose che il film fa bene
Il film è visivamente splendido, dinamico e coloratissimo, una gioia per gli occhi. Si percepisce subito l’approccio agli antipodi del suo famigerato e scurissimo (nei colori e nei toni) predecessore, e appare una scelta molto più sensata.
E poi ci sono le musiche riarrangiate dagli originali di Koji Kondo. Ogni volta che un vecchio tema di Super Mario si affaccia sul film, in modo peraltro naturale, la scena si illumina e diventa difficile, specie se siete tra i giocatori-spettatori di cui sopra, non sorridere e lasciarsi trasportare.
Le musiche originali funzionano a tal punto che quando vengono soppiantate dagli abusatissimi classici del pop-rock anni ‘80 e ‘90 (Take on me, Thunderstruck, etc.), che il film ha deciso per qualche motivo di includere, la reazione d’istinto non è il classico mix di nostalgia sintetica e buoni sentimenti, ma sincero disappunto.
Mi dispiace, Mario, ma la trama è in un altro castello
Il tema spirituale del film non è molto a fuoco. Se da una parte la morale (dichiarata) è che Mario e Luigi, insieme, possono superare ogni ostacolo, dall’altra passano quasi tutto il film separati, e non per hybris dell’uno o dell’altro, ma a causa di eventi accidentali. La riunione fraterna diventa prima l’obiettivo finale della storia e poi si ricicla come morale della stessa, sacrificando parte del suo potenziale emotivo.
In altre parole: quando restare insieme è la morale, i personaggi scelgono di separarsi, per poi imparare sulla propria pelle che non è la strada giusta. Essendo invece costretti a separarsi, il film dovrebbe mostrarci fin dove l’uno è disposto a spingersi per salvare l’altro (qualcuno ha detto Taken?).
Mario è determinato e disposto a tutto, ma non deve sacrificare granché, anzi. Il suo viaggio alla scoperta del Regno dei Funghi è così galvanizzante che ci fa chiedere se non sia quella la vera morale del film: trovare un posto nell’universo abbastanza strano da farci sentire davvero a casa. Infatti anche il Regno dei Funghi è in pericolo, e va salvato dalle aspirazioni maciste di Bowser.
Ma cos’è più importante: la vita di tuo fratello o il mondo cui senti finalmente di appartenere? Una domanda fondamentale che il film ignora completamente (non lo faceva, nel 1991, Hook Capitan Uncino).
Fa ridere ma ne-anche riflettere
Qui entrano in gioco i paraventi di cui sopra. Basta specificare che un film sia di “puro intrattenimento”, che abbia una “trama semplice”, per limitare le aspettative dello spettatore? Eppure, intrattenimento e ragionamento non sono inversamente proporzionali. Al contrario, spesso l’intrattenimento è la chiave per entrare nella stanza del ragionamento.
Se vi interessa un prodotto di “puro intrattenimento” visivo, in totale assenza di ragionamento, non state cercando un film, state cercando un caleidoscopio.
Una visione estetica convincente e una filosofia votata all’azione possono compensare, forse, ma non legittimare un comparto narrativo claudicante, che si parli di film o di videogiochi. Così come, a ruoli invertiti, è un problema se la riuscita di un film o di un gioco viene imputata esclusivamente alla complessità del suo intreccio, mentre il resto finisce per annoiarci.
Più semplice a dirsi che a farsi
Quindi una trama semplice è un difetto, nel mondo del cinema e oltre?
Assolutamente no. In fondo, sono decenni che i videogiochi di Mario convincono milioni di giocatori con una trama essenziale. Duel e Lo squalo, di Spielberg, sono capolavori dalla trama semplice, non ci verrebbe in mente di criticarli per questo. E non è questione di regista (Alien, di Ridley Scott), o di sindrome dell’epoca d’oro (Mad Max: Fury Road nel 2015, Dunkirk nel 2017). Occorre, però, fare chiarezza su una questione fondamentale.
Una trama non è solo la somma degli eventi che la compongono. In cabina di regia bisogna stabilire quando e come mostrare gli eventi, persino dove, in alcuni videogiochi open world. E l’ordine in cui sono disposti contribuisce in modo fondamentale all’esperienza.
Quasi ogni primo film di Batman posiziona la scena della morte dei genitori a un minutaggio diverso, per evidenziarne un aspetto diverso (e non è un caso che la scena manchi proprio in The Batman, di Matt Reeves). Trame particolari richiedono una specifica disposizione degli eventi per dare senso alla fruizione (Memento).
Gli stessi eventi, disposti in maniera diversa, formano trame diverse, probabilmente non efficaci allo stesso modo. Esattamente come gli stessi ingredienti possono essere cucinati in molti modi diversi e dare vita a piatti diversi.
Definire una trama “semplice” significa dire che è composta da pochi elementi, non che i suoi elementi sono disposti in maniera semplice. Una frittata di cipolle parte da una trama semplice (uova, cipolla, sale, pepe e olio), ma è anche un piatto semplice. Buono, per carità, ma arriva fino a un certo punto. E questo è Super Mario Bros., un film semplice.
Quindi non è semplice fare un film con una trama semplice, perché una trama semplice non limita le possibilità, in sceneggiatura e in regia, e non esonera dal trovare il modo migliore di “potenziare” gli elementi che la compongono, quanti e quali che siano.
Super Mario Bros. sceglie di spendere il 90% dei suoi 90 minuti stringati su sequenze divertenti, come l’epico scontro con il cane nell’intro, e si concede solo un paio di brevi pause per seminare sul terreno emotivo. Il risultato, complice una bussola morale tremolante, è che nelle stesse scene d’azione si percepisce poco l’urgenza e l’importanza della posta in gioco. Come per la corsa sui kart sulla Rainbow Road, che non è una vera corsa, ma un “semplice” tragitto, dal punto X al punto Y della pellicola.