Hogwarts Legacy e l'elogio di ciò che luccica
Il più bel videogioco mai realizzato su Harry Potter? Sì. Il più bel videogioco su Harry Potter mai realizzabile? No.
Quante volte, in questi mesi, avete letto che Hogwarts Legacy è “il gioco che ogni fan di Harry Potter ha sempre sognato”?
Chi vi scrive è un fan di Harry Potter* e, benché riconosca la superiorità di Hogwarts Legacy rispetto alle precedenti iterazioni videoludiche del Wizarding World (non che ci volesse molto), ne è rimasto profondamente deluso, per una serie di motivi.
Se anche voi ne siete rimasti delusi, Severo ma Giusto è qui per dirvi che non siete soli; se invece avete adorato Hogwarts Legacy, ma vi interessa un punto di vista differente dal vostro, Severo ma Giusto è qui per darvelo volentieri.
Un paio di motivi per leggere questa recensione, qui e ora:
Hogwarts Legacy è l’esempio perfetto di gioco attesissimo, legato a un “marchio” culturale amatissimo, che viene iper-nobilitato dalla critica di settore (vanta una media superiore all’8.5, con picchi pari a 9.2). Al contempo, astraendoci dal contesto, il gioco fatica molto a soddisfare aspettative simili.
Hogwarts Legacy è uscito a febbraio, quindi è un buon esempio di critica lenta; dover esprimere in fretta un parere sintetico su opere complesse, talvolta addirittura “per primi”, è uno dei motivi per cui fare il redattore è difficile. SmaG, tuttavia, è una newsletter, che ha il privilegio (e il gusto) di criticare con i propri tempi.
Cominciamo, come comanda il bon ton della recensione severa, con quello che il gioco fa bene.
Hogwarts Legacy ricrea al dettaglio la scuola di cui porta il nome, e non risparmia in metri quadri. Hogwarts è un posto enorme, pieno di vita, corridoi, colori e stagioni. Le stanze nascoste, i passaggi segreti, le aule. Tutto contribuisce a ricreare l’atmosfera tipica di Harry Potter, riportando il giocatore a quella giovinezza dorata in cui leggeva i libri o guardava i film della saga, sognando ad occhi aperti.
Benché si “appoggi” su un elemento pre-esistente al videogioco, riuscire a trasformare un’eredità (per l’appunto, Legacy) tanto ingombrante in un punto di forza non è cosa da poco. In virtù di ciò, le prime ore di gioco sono un autentico tuffo al cuore.
Altro punto di forza è il combattimento, divertente e movimentato, né troppo facile né troppo ostico: le combo possibili, l’uso “color-coded” degli incantesimi e altre idee ingegnose, come il Protego a 360°, rendono le zuffe magiche stimolanti e al contempo accessibili per chi ha meno inverni da videogiocatore alla propria cintura.
Ma i pregi hanno anche dei difetti
La magia di Hogwarts resta sempre intatta, tuttavia il gioco si protende, col passare del tempo, più verso l’esterno che verso l’interno del castello. Diverse missioni ci trattengono ore e ore fuori dalle mura, lontani da aule e dormitori. La mappa di gioco è enorme, probabilmente oltre i confini del necessario; non è un disvalore, di per sé, ma diventa, di fatto, un elemento di distrazione dal luogo che abbiamo sempre sognato di frequentare.
Pure il combattimento, che rimane divertente, evidenzia a lungo andare ben poca varietà in fatto di nemici e pattern. Inoltre, la forma apicale del combattimento, cioè quella contro i boss, è tutto fuorché emozionante, anzi, deforma e tradisce le buone cose fatte vedere negli scontri in tanti contro uno.
Le boss battle di Hogwarts Legacy sembrano ancorate a meccaniche vecchie di una decina d’anni, e neanche appartenenti al genere dei giochi di ruolo d’azione, cui il titolo dovrebbe appartenere.
Si fronteggia, in un’arena limitata, un solo energumeno con una lunga barra della vita, contro il quale tutti gli incantesimi più creativi perdono completamente di efficacia. Per vincere, bisogna accuratamente evitare i suoi colpi (pochi e poco vari), scardinare i suoi scudi con l’incantesimo del colore giusto (esercizio qui ripetitivo, didascalico e pedante) e colpirlo con magie danneggianti (non importa quali, non fa differenza); insaponare, sciacquare e ripetere quanto basta.
Passiamo alle (altre) note dolenti: la trama
Non serve addentrarsi nella foresta proibita degli spoiler per dire che la trama è un’accozzaglia di concetti confusi e congegni pigri. Non sorprende praticamente mai, e quando lo fa, lo fa in modo goffo e artificioso. Le rivelazioni, quando prevedibili, arrivano troppo tardi, molto dopo essere state previste; e quelle imprevedibili, che si contano sulle dita di una mano, non sono radicate né attecchiscono granché sulla trama generale.
Da subito veniamo a sapere di essere uno studente speciale di magia e stregoneria, che accede a Hogwarts direttamente dal quinto anno: una scelta dettata dal bisogno di un contesto all’altezza della storia, che prevede scontri violenti e incantesimi avanzati, fuori dalla portata di uno studente dei primi anni. La cosa si complica, però, quando dobbiamo spiegarci perché interpretiamo uno studente che accede a Hogwarts al quinto anno, e non uno che abbia già frequentato i suoi primi quattro anni di scuola.
Questo viene da un altro bisogno narrativo, uno di cui si poteva (e doveva) fare a meno. In un mondo che pullula di magia, artefatti oscuri, leggende, misteri e maledizioni, la trama di Hogwarts Legacy si basa sull’esistenza di un secondo tipo di magia, la “magia antica”, che solo in pochissimi, tra i maghi, possono percepire, vedere e utilizzare secondo il proprio volere. Le virgolette non sono lì per gusto retorico, viene chiamata proprio “magia antica”, ed è la migliore spiegazione che vi venga fornita.
In un mondo che può giustificare letteralmente qualsiasi cosa, era davvero necessario postulare l’esistenza di una seconda magia, ancora più elitaria e potente di quella “comune”, per delineare la figura di un* protagonista elett* e cucirgli attorno una trama rilevante?
Carta vince, carta perde; in realtà, non importa quale carta scegli
La pigrizia della scrittura si sente anche nei dialoghi, che presentano spesso bivi (o, più raramente, trivi) comportamentali, per far scegliere al giocatore se adottare un approccio generoso e disponibile o cinico e egoista con gli altri personaggi non giocanti. Peccato che, nella stragrande maggioranza dei casi, queste scelte non comportino alcuna conseguenza, né nei rapporti interpersonali del protagonista, né per la sua condotta e bussola morale. Persino nei rari casi in cui le scelte comportano qualcosa, gli eventi riescono a depotenziarle, sterilizzandole per… rassicurarci?
Interrogati sul motivo per cui non si è incorporata nel gioco la più classica “barra del karma” (un indicatore di quanto il personaggio si stia comportando bene o male, presente ormai da decenni nel mondo dei videogiochi), gli sviluppatori hanno dichiarato di non aver voluto punire i giocatori per una scelta che volevano mantenere disinteressata: chiunque avrebbe potuto apprendere e usare magie oscure, o pretendere riscatti per aver recuperato un animale domestico, senza contraccolpi morali.
Il problema, qui, è non comprendere l’essenza fondamentale del gioco di ruolo, un tipo di gioco dove si sceglie di interpretare qualcun* esattamente per le conseguenze che tale scelta comporta
Che sia la scelta di una certa “build” basata sulla destrezza o sulla forza, sulla saggezza o sul carisma, o quella del proprio comportamento, se un giocatore vuole interpretare un mago oscuro, desidera affrontarne le conseguenze, positive e negative. Così come un giocatore che si mantiene sul lato chiaro, a suon di rinunce e atti di puro altruismo, vorrebbe quantomeno che gliene fosse riconosciuto il merito, anche solo con una manciata di “punti lato chiaro”.
Sa soltanto quello che non è
Appare chiaro, quindi, che Hogwarts Legacy non è un gioco di ruolo, bensì un gioco d’azione/avventura. E la cosa non sarebbe un difetto, se non si fosse spesa tanta energia per simulare tanti stilemi del GdR, senza però andare mai fino in fondo. Oltre a quelli già elencati:
Ci sono le statistiche, ma solo due, attacco e difesa, legate all’equipaggiamento, che talvolta fornisce vantaggi circostanziali (“resistenza ai ragni”).
C’è un limite stringente al numero di oggetti di vestiario che possiamo portarci dietro, pur avendo una borsa di contenimento capace di inglobare ippogrifi e altri animali fantastici.
Si possono fabbricare pozioni, ma ne esistono solo cinque tipi, e nessuno di questi (salvo quelle di cura, elargite in abbondanza) è davvero indispensabile.
Si possono coltivare piante da combattimento, ma solo di due o tre tipi.
Si può scegliere la bacchetta, di cosa è fatta e come personalizzarla, ma non ha alcun impatto su magie e combattimento.
Perché, a questo punto, non andare nella direzione del simulatore di vita da mago, con l’aiuto di parentesi stuzzicanti come la Stanza delle necessità e gli animali collezionabili? Perché non inserire lezioni frequentabili oltre a quelle strettamente necessarie, che consistano in più di un breve filmato, una fetch quest e l’apprendimento del dato incantesimo? Perché non estendere il numero di pozioni e di piante? Perché non sfruttare e ampliare intuizioni felici come il rischio di essere beccati dai prefetti dopo il coprifuoco, invece di limitarle a un paio di missioni in giro per il castello?
In sintesi
Hogwarts Legacy non è un gioco insufficiente, non è inavvicinabile né repellente. Anzi, è divertente, ispirato, soprattutto all’inizio, e ha il potenziale enorme di attirare al gioco persone che, in nome dell’amore per il mondo di Harry Potter, sono disposte a mettere da parte scetticismi e idiosincrasie contro il medium videogioco.
Proprio per questo, però, è un peccato mortale che presenti tante e tali scottanti imperfezioni; che per accontentare tutti (impossibile) non scelga a quale genere appartenere, facendo di tutto un po’ (male). Ed è un peccato doppio che, evidentemente, questi difetti non abbiano pesato, di fatto, sul giudizio della critica, poiché è solo prendendone atto, magari scegliendo consapevolmente di soprassedervi, che riusciremo in futuro a superare il miglior videogioco mai realizzato su Harry Potter, creando il migliore videogioco su Harry Potter mai realizzabile.