Guardiani della Galassia vol. 3 e la fine delle rivoluzioni
James Gunn trionfa a furor di popolo: il sistema è morto, lunga vita al sistema!
Dopo Hogwarts Legacy e Super Mario Bros., un pezzo più sul pezzo per Severo ma Giusto, sull’arrivo in sala di Guardiani della Galassia Vol. 3, ultimo osannato frammento della trilogia di James Gunn, definito da molti come l’atteso ritorno al cinecomic Marvel di qualche anno fa.
Come da prassi, un paio di motivi per leggere questo pezzo, qui e ora:
Si è parlato di “cinecomic quasi perfetto”, qualunque cosa (non) significhi; a sproposito? Quanto a sproposito? E perché dire che una cosa è “quasi perfetta” ha poco senso?
C’è anche chi riserva critiche aspre al terzo capitolo dei Guardiani (un esempio vicino, un esempio lontano): succede sempre più spesso coi film Marvel, anche tra spettatori, ed è importante capire perché.
Il cucchiaio non esiste, o quasi
È un vecchio ritornello della critica: in assenza di un’idea universale e condivisibile della perfezione, è giusto dare il voto massimo a un film o a un videogioco? C’è chi risponde di sì; non è necessario che l’opera sia priva di difetti, basta che sia priva di difetti significativi in confronto alla magnificenza di tutto il resto.
Guardiani della Galassia vol. 3 i suoi difetti ce li ha, e si sentono forte e chiaro. Quindi la pellicola offre qualcosa di così bello e intenso da far “quasi” (non ci scordiamo mai del “quasi”) dimenticare tutti i suoi difetti?
La risposta, senza il “quasi”, è indubbiamente no. Con il “quasi”, non è chiaro, perché un “quasi” è soggettivo e sfumato esattamente come la perfezione, o l’amore. In quel proteiforme “quasi” si possono far accomodare le parti critiche di un’analisi che, in ogni caso, non ambisce all’oggettività (altrimenti, la perfezione non esiste).
Ma se l’analisi non ambisce all’oggettività, perché c’è bisogno di clausole simili? Un “quasi” si usa per soggettivizzare un sistema rigido. Tipo:
Hai la media del 6?
Beh, quasi. Speriamo che non mi mettano il debito.
Se lo mettiamo in un contesto più etereo, diventa molto meno efficace. Tipo:
L* ami?
Beh, quasi.
Stessa storia, stesso posto, stesso bar
Stavolta non siamo partiti con i pregi del film per un motivo preciso: li conoscete già. Sapete già a menadito che peso hanno nella vostra analisi. James Gunn non è al suo primo rodeo, e di sicuro non reinventa la ruota con il suo volume 3. Quando si dice che, con questo film, si è tornati al mood spensierato e irriverente dei film Marvel di qualche anno fa, forse è vero. Ma non è una buona notizia. Si è tornati a uno standard dal quale non ci si era allontanati, anzi. Si è tornati al paziente 0.
Gli ultimi (tre, sei, otto, dieci) film del Marvel Cinematic Universe non erano deludenti in quanto folli sperimentazioni di soluzioni nuove, con le spalle troppo piccole per il peso di un impianto decennale. Era lo stesso impianto a scricchiolare sotto il peso dei suoi anni.
James Gunn ha un suo stile, mantenuto intatto e coerente nel corso della trilogia dei Guardiani (i cui volumi sono usciti nel 2014, 2017 e ora). Negli anni non è lui a essere cambiato, ma tutto il resto del cinema supereroistico, avvicinatosi al suo modello con l’intensità e la naturalezza repentina di un extreme makeover.
Tant’è che il regista, nei cinque minuti in cui è stato allontanato da Marvel-Disney per storie di vecchi tweet offensivi, è stato reclutato dai rivali della DC Comics e (dopo aver rifatto il look alla Suicide Squad) messo alla direzione del loro intero universo cinematografico.
Ma con o senza di lui, fa poca differenza. Quante volte, dal primo Guardiani, abbiamo sentito dire che un film si avvicina a, per non dire scimmiotta, le atmosfere dissacranti e scanzonate introdotte nel genere supereroistico proprio da James Gunn?
Tante. Anche troppe.
Il trionfo e/è la sconfitta della rivoluzione
Lo stile iconoclasta di James Gunn, oggi, non è più un “caso” come lo era nel 2014, all’uscita del primo Guardiani, quando aveva di per sé stesso un sapore e un significato diversi: rappresentava l’alternativa weird all’epica supereroistica più seria (senza mai esagerare) portata avanti da Capitan America e i suoi Vendicatori. Era un’epoca in cui, per esempio, Thor si prendeva sul serio, come film e come personaggio; poi, che i risultati potessero essere scadenti, è un altro discorso.
Anzi no, è lo stesso discorso.
Un film che si prende sul serio rischia di fallire, e quando lo fa, fallisce fragorosamente. Tutti ricordiamo “quant’era brutto” Thor: the dark world, o il terzo Spider-Man di Raimi, o Lanterna verde. Criticare un film meta-ironico è più difficile, anche perché è molto più difficile ricordarlo.
Se non ti piace, forse non l’hai capito. Forse non capisci la satira, il tono, il genere. Forse sei un fan troppo agguerrito, e il film non fa per te. Forse è per le nuove generazioni, e tu non sei al passo con i tempi; oggi i cinecomic sono così, si mena e si ride, e tu ti volevi emozionare. Vallo a spiegare che, senza le emozioni, anche i combattimenti, per te, perdono di senso, e sono anni, ormai, che al cinema si combatte per combattere, e non per qualcos’altro. Già mentre lo pensi ti senti vecchio, vecchio e retorico, in sala gli altri ridono, si divertono, qualcuno si emoziona pure (anche se qualcuno è una misura inaffidabile; a qualcuno non piace la Nutella).
Forse sei tu, il problema, non il film. Eppure…
C’era una volta
È il dicembre 2018 e, nel rumore dei vari MCU e DCEU, esce in sordina per Sony un film di supereroi d’animazione (perché i film d’animazione sono “per bambini”, quindi escono a Natale): Spider-Man: un nuovo universo. Il film riunisce gli Spider-Man di diverse dimensioni parallele per salvare Manhattan e l’intero multi-verso. In uno dei punti cruciali del film, il protagonista, Miles Morales, affronta un momento di grave crisi personale, morale e familiare.
Gli altri e le altre Spider-Man gli si fanno vicino. Ognun* racconta la sua esperienza del lutto, del dolore, della morte e dell’infelicità. Arriva il turno di Spider-Ham, alias Peter Porker, lo Spider-Man di una dimensione zoomorfa mezzo ragno e mezzo maiale (in quest’ordine). La sala è pronta a ricevere la più apparecchiata delle battute facili, per abbandonare con sorriso e passo svelto questo periglioso terreno emotivo.
Peter Porker si siede su una sedia girevole e dice, nel più maturo dei toni:
“Tutti abbiamo perso qualcuno.”
Spider-Man: un nuovo universo vince l’Oscar come miglior film d’animazione, trionfando su L’isola dei cani di Wes Anderson. Ai piani alti si percepisce nitidamente che qualcosa, in questo film, è arrivata al cuore di pubblico e critica, che occorre seguire il suo esempio.
E cosa ne deriva? Tonnellate di film sul multi-verso. E le battute rimangono, in qualsiasi dimensione.
Saturation level is over 9.000
Guardiani della Galassia vol. 3 è il solito, in un momento in cui “il solito” è un prodotto tanto prevedibile quanto inflazionato, diretto da un regista incendiario che ha convinto il mondo a seguire il suo esempio.
Invece di selezionare un tema e ricamarci attorno diverse vicende, sceglie molti temi (alcuni dei quali crudi, altri complessi) e li frulla in una vicenda fatta di battute, pretesti, battute e soluzioni comode per far funzionare tutto, con l’aiuto di qualche battutina qua e là. Contro l’ennesimo cattivo dalla psicologia instabile, sulla carta potentissimo e temibile, che alla resa dei conti viene sconfitto senza colpo ferire, umiliato e presto dimenticato.
Spogliato della sua anima ribelle, James Gunn si fa in quattro per consegnare un finale degno e commovente alla sua squadra spaziale, ma non rinuncia comunque a quella serie di vecchie abitudini che, proteggendo il film da rischi di naufragio, lo depotenziano anche dove potrebbe colpire più forte. Al cuore, per esempio.
In un mondo di incendiari integrati, però, qualche “pompiere” sta tornando (tipo The Batman di Matt Reeves; ma con Batman è più facile), per tentare di dimostrare, purtroppo non sempre con successo, che un’altra strada è possibile. Occhi puntati al prossimo 2 giugno, quindi, giorno d’uscita di Spider-Man: Across the Spider-verse, sequel diretto del capolavoro del 2018. In fondo, da un grande potere-